Rassegna stampa su Giovanni Rissone
da La Repubblica del 28-04-2000
Per 27 ore sotto i ferri ricostruita metà faccia
TORINO - Ventisette ore in sala operatoria per ricostruire ad un ragazzo albanese di 24 anni mezza faccia
devasta da un tumore. L'eccezionale intervento chirurgico è stato eseguito un paio di settimane fa
a Torino, all'ospedale Giovanni Bosco, da un'équipe composta da 12 specialisti e 15 infermieri. Il
corpo del malato, Zamir Cunay, si trasformato in un serbatoio di pezzi di ricambio prelevati dai chirurghi
e utilizzati, come in una sorta di puzzle, per ricomporre metà viso. Il giovane albanese aveva le
ore contate: non riusciva più a mangiare e rischiava di morire dissanguato per la rottura di
giugulare e carotide, quasi irrimediabilmente schiacciate dall'enorme massa tumorale.
"Il tumore - ha spiegato Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra - aveva spostato verso la parte alta della
testa l'orecchio, invaso in profondità le strutture nervose e vascolari del collo, si era spinto
fino alla base del cranio, avvolto lo carotide interna, compressa la giugulare e distrutto la mandibola".
Dopo aver inutilmente tentato di curare il cancro con chemioterapie e radioterapia, agli specialisti del
Giovanni Bosco non è rimasta altra strada che quella chirurgica. "Il rischio di morte durante
l'operazione - ha spiegato ancora il dottor Beatrice - era elevatissimo. Ma il ragazzo ci ha pregati di
provare per dargli un'ultima speranza...".
La maratona operatoria è iniziata alle 8 di mattina. Dodici ore sono state impegnate per asportare
metà faccia sinistra e parte del cranio. Durante questa fase si è verificata una
complicazione che ha messo a repentaglio la vita del giovane. "All'improvviso - ha raccontato Luigi
Solazzo, il chirurgo maxillo-facciale - ha iniziato a sanguinare la giugulare all'altezza della base
cranica. Abbiamo avuto pochissimi secondi per tamponare l'emorragia. Ci siamo riusciti, ma per qualche
attimo ho temuto il peggio". Lentamente, poi, è iniziata la seconda fase, il prelievo dei "pezzi di
ricambio" per l'autotrapianto e la ricostruzione. Ortopedici e chirurghi si sono messi al lavoro per
asportare un pezzo ai perone lungo 16 centimetri, poi l'omento (un tessuto che riveste internamente
l'addome), il muscolo pettorale, un ampio lembo di schiena e, infine, la pelle della coscia.
Quindi gli specialisti hanno dato il via alla terza e ultima fase, il rifacimento di metà del volto.
Il perone è stato impiantato per ricostruire la mandibola, l'omento ha svolto la funzione di
spessore interno fra l'osso e la parte esterna della faccia, un muscolo del petto ha ricomposto la parte di
guancia vicina alla bocca, pelle e muscoli della schiena hanno coperto la parte più alta della
faccia, la pelle della coscia ha avvolto la zona bassa del viso e parte del collo. Per suturare i vasi dei
tessuti innestati (i più piccoli hanno un diametro di un millimetro), gli specialisti si sono
avvalsi di un modernissimo microscopio le cui lenti sono manovrate e messe a fuoco da un comando azionato
con la bocca.
Alberto Custodero
Il dottor Solazzo, primario di maxillo-facciale
Manovre difficili anche per i più bravi
TORINO - "Quando la giugulare ha iniziato a sanguinare, me la sono vista veramente brutta...". Il dottor
Luigi Solazzo, primario di chirurgia maxillo facciale, ricorda ancora con angoscia il momento in cui ha
rischiato di perdere il paziente sotto i ferri.
Dottore, in quei momenti, è il caso di dirlo, la vita di una persona è nelle vostre
mani. Che cosa pensate?
"È stato terribile. In un attimo è schizzato un lago di sangue, i monitor che sembravano
impazziti, le grida di allarme dell'anestesista, gli sguardi terrorizzati dei colleghi... Sono secondi
che segnano. Io non ho voluto pensare che sotto le mie mani c'era una persona, con fratelli, genitori,
mogli o figli. Mi sono solo concentrato sul fatto che una macchina si era rotta e che dovevo
aggiustarla".
Una "macchina"?
"Sì, se pensi che un uomo sta per morire, ti monta l'angoscia che ti paralizza le mani e ti
congela i pensieri. Se, invece, pensi che ti trovi di fronte ad un meccanismo inceppatosi da sistemare,
è più facile. Ma devo ammetterlo, ho avuto una gran fortuna".
Interventi cosi rari e complessi - 24 in Cina e 7 in America - sono tutti da improvvisare.
Come è possibile affrontare e risolvere tutte le difficoltà in tempo reale?
"In casi così complessi siamo veri e propri free climber della sala operatoria. Ogni manovra
può essere nuova anche per noi che operiamo da più vent'anni. La parte più difficile
è la sutura dei piccoli vasi perché per dirigere le lenti del microscopio usiamo un comando
che si manovra con la bocca. Ecco, in quel momento bisogna essere anche un po' contorsionisti. E la fatica
si fa sentire".
Un'operazione così importante le apre nuove opportunità di carriera, come ad esempio
una cattedra universitaria?
(a. cus.)
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