Rassegna stampa su Giovanni Rissone
da La Repubblica del 13-12-2004
Sanità e "bisturi" in fuga
La voglia del Natale quest'anno sembra procedere a una velocità inversamente proporzionale alla
capacità di spesa necessaria per festeggiarlo come si vorrebbe. Incoraggiata dalla televisione e
dai giornali questa rincorsa lunga verso le festività è accompagnata da un fiorire di
iniziative di beneficenza la cui accelerazione sembra non avere precedenti, accendendo il malizioso
sospetto che essa sia alimentata da quei remoti sensi di colpa che ogni uomo si porta dietro. Giorno dopo
giorno, con impennate domenicali, si è invitati a sottoscrivere per tutto, a comprare fiori,
piante, frutta, dolci per sostenere la ricerca. Si susseguono spettacoli, concerti, "partite del cuore",
si vendono magliette e libri, sbocciano in ogni angolo mercatini con la merce più improbabile.
All'antica motivazione dell'aiuto a chi è alle prese con la povertà - fenomeno
drammaticamente tornato di attualità - si è aggiunta quella più recente della
raccolta di fondi per debellare un'infinità di malattie. Va da sé che non c'è niente
di male nel rispondere a questi appelli, anzi lo si dovrebbe fare con sempre maggiore convinzione,
rinunciando al superfluo e ricordando che abbiamo smesso da tempo di essere quella "affluent society" che
qualche anno fa credevamo di essere o ci illudevamo di diventare.
Ma è proprio da una lettura meno superficiale dei media che si avvertono alcune incongruenze che
sollevano dubbi non sulla generosità di chi dà ma su certe ragioni del "dare". Prendiamo per
esempio l'aspetto della ricerca esteso alla medicina e proviamo a contestualizzarlo nel panorama della
sanità torinese. È stato questo giornale a riferire il caso, non isolato ma emblematico, del
dottor Giovanni Muto, primario di urologia dell'ospedale San Giovanni Bosco e chirurgo oncologo noto anche
molto lontano da Torino. Attraverso un fitto quanto allarmante carteggio epistolare, da tempo questo
primario chiede di potenziare il reparto di chirurgia oncologica che, tradotto dal linguaggio burocratico
delle lettere, vuol dire poter raddoppiare il numero annuo delle persone ammalate di cancro oggi
condannate a lunghe liste d'attesa con risultati che è facile indovinare.
La risposta del direttore generale della sanità piemontese Giulio Fornero, si può riassumere
in questi termini: non è possibile per ragioni di bilancio e perché le limitate risorse
disponibili devono essere destinate ad altre specializzazioni.
Poiché può essere antipatico stabilire priorità in fatto di malattie ci si dovrebbe
quanto meno affidare alla penosa ma inoppugnabile scala della gravità. Soprattutto, si dovrebbero
evitare gli interventi a pioggia, provvedendo a fare bene alcune cose importanti nella convinzione che
tante mediocrità non fanno un'eccellenza. Al massimo servono a conquistarsi la riconoscenza di
qualche amico. Seguito dalla storia: risulta che il dottor Muto abbia già preso contatti e abbia
ricevuto offerte da altre città italiane. Se lo volesse potrebbe recarsi negli Stati Uniti dove ha
provveduto a conquistarsi qualche merito. Ma non è il caso personale ciò che importa.
Colpisce invece apprendere, sempre dai media, lo stato in cui versa la ricerca scientifica in Italia. Non
passa settimana senza che un giornale racconti la fuga di un "cervello" verso i laboratori e le
università americane o di altri paesi dove l'intelligenza, l'impegno e lo studio hanno un valore
diverso che da noi. Il caso torinese del San Giovanni Bosco, purtroppo non sporadico e per di più
inserito nel meccanismo della sanità piemontese coinvolto negli ultimi anni in vane vicende
giudiziarie, collide con l'onda montante delle sottoscrizioni per la ricerca poiché, senza
cancellarne le ragioni le mortifica fino a sacrificarle sull'altare di interessi che non sono quelle della
scienza e nella fattispecie della salute dei cittadini torinesi.
"La République n'a pas besoin de savant", rispose un giudice del tribunale della Rivoluzione
francese al condannato Antoine-Laurent Lavoisier, padre della chimica moderna, che chiedeva un piccolo
rinvio della sua esecuzione per poter completare un esperimento.
In una situazione per fortuna meno drammatica è probabile che il direttore generale della
sanità piemontese pensi anche lui, come quel giudice, che "la Repubblica non ha bisogno di saggi".
E di medici.
Salvatore Tropea
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