Rassegna stampa su Giovanni Rissone
da La Repubblica del 02-11-2004
Ma l'ospedale perderà il suo "mago del bisturi"
TORINO - Per capacità e bravura batte anche l'Istituto oncologico Europeo di Milano,
l'uro-oncologo Giovanni Muto. I suo interventi sono molto più complessi di quelli che si
effettuano nel centro milanese di Veronesi: basta confrontare il peso medio (o case-mix), delle
operazioni. Al San Giovanni Bosco, nel 2003 (anno in cui si sono fatti 1302 interventi anche per
patologie non tumorali), indice di importanza delle operazioni urologiche è stato di 1,5. Nel
corrispettivo reparto milanese dell'Ieo - dove si fa con prevalenza oncologia - il valore è stato
"solo" di 1,3. Nonostante questo risultato di eccellenza che pone il reparto ospedaliero torinese
all'avanguardia in Italia (il 50 per cento dei pazienti arriva da fuori regione), Giovanni Muto,
nell'ospedale di piazza Donatori di Sangue, non è messo in grado di operare. E ora minaccia di
andarsene, lasciando una città già snobbata da altre firme della sanità. Dal
novembre di un anno fa Muto ha dovuto sospendere attività urologica tradizionale (come ipertrofia
prostatica), per poter affrontare una lista - a oggi - di 200 pazienti malati di cancro o affetti da
malattie gravi. E i tempi di attesa sono troppo lunghi (tre mesi), per chi si trova, come dimostra il
paziente di Napoli operato nei giorni scorsi, in bilico fra la vita e la morte. La direzione generale del
San Giovanni Bosco, il duo Fornero-Arossa (direttore generale il primo, sanitario il secondo), non ha al
momento voluto o saputo risolvere il problema. Temono, i due responsabili dell' Asl 4, che, incrementando
l'attività di Muto, i costi s'impennino. E che, di conseguenza, il bilancio dell'ospedale si
chiuda in rosso, è, questo, il paradosso della sanità torinese: gli specialisti che godono
di indiscussa fama ci sono. Ma non si assegnano loro le risorse. La cura dimagrante di Fornero-Arossa ha
fatto scappare il rianimatore Visetti, il plastico Sollazzo e il cardiologo Bevilacqua. E da Torino se ne
sono andati per lo stesso motivo fuoriclasse del calibro di Lorenzo Genitori, il neurochirurgo infantile
"fuggito" in Toscana a maggio e a oggi non ancora sostituito. O della fama di Luigi Naldini, lo
scienziato noto in America che ha snobbato la nostra città per Milano. In fondo, Giovanni Muto
non ha chiesto la luna. Ma un potenziamento delle sue risorse per poter operare i malati di cancro che in
lui vedono l'ultima speranza. Ecco la sua richiesta, formulata nero su bianco nel giugno scorso: potere
avere a disposizione una seconda sala operatoria al mattino. E un pugno di infermieri dedicato a questa
attività, è troppo al punto da mandare in bolletta Asl 4? Pare proprio di si. Fornero,
direttore generale diessino (preoccupato di non fare la fine del suo predecessore Rissone, licenziato per
aver speso troppo), nonostante siano passati 12 mesi dalla sospensione delle attività
tradizionali e 6 da quella richiesta, ha deciso di non decidere. Ha trasformato Muto in un caso politico.
E, sotto elezioni, ha passato la palla al Polo, direttamente a Enzo Ghigo e all'assessore alla
Sanità Valter Galante. "Se Muto è un asso della sanità piemontese - è, in
sintesi, il Fornero ragionamento - perché dovrei rischiare il posto io che, dalla regione, ho
ordine di tagliare i costi?". "Il caso Muto - ha dichiarato il presidente Ghigo - mi sta particolarmente
a cuore. Lo legherò con le catene per evitare che lasci il Piemonte". "Di Muto - gli ha fatto eco
Galante - mi sto occupando in prima persona. Ho diverse idee: sto pensando di collocarlo all'ospedale di
Asti, dove ci sono 60 posti letto liberi. Oppure, di trasferirlo a Candiolo". Al momento, però, ci
sono solo progetti. Parole. Nulla di concreto è stato fatto per consentire all'urologo che ci
invidia Veronesi di poter smaltire una lista di attesa di malati di tumore che da tutta Italia chiedono
di essere operati da lui.
Alberto Custodero
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