GIOVANNIRISSONE
PSICHIATRA
MANAGER DELLA SANITÀ PUBBLICA E DELL'EMERGENZA
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Giovanni Rissone - Manager della sanità pubblica e dell'emergenza
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Giovanni Rissone - Una vita da matto vestito da dottore

Rassegna stampa su Giovanni Rissone

da L'Eco delChisone del 02-06-1988

Un documento che riprende un grosso problema locale

Il triangolo della psichiatria: malati, medici e politici

Un documento critico sulla situazione a Pinerolo: il ruolo politico ha cambiato dando segni di avvicinamento alla riforma - Non così il ruolo tecnico: operatori validi che se ne vanno, la gente protesta, anche se civilmente - Il cambiamento: metodo, organizzazione, interventi, professionalità

Clicca per scaricare l'articolo originale (formato pdf) A dieci anni della Legge di riforma psichiatrica, la 180, vorrei fare alcune considerazioni con riflessi locali. Per una volta, tra l'altro, intendo liberarmi delle vesti istituzionali di Coordinatore Sanitario della Val Pellice ed esprimermi più liberamente, come è lecito in democrazia, come Psichiatra del comitato direttivo della Società Regionale Piemontese di Psichiatria Democratica.
La riforma, non solo quella psichiatrica, è stata inapplicata, prima di tutto dal governi che dal 1978 ad oggi si sono succeduti: per esempio non sono state date le gambe agli enunciati con i necessari fondi vincolati e con un Piano Socio Sanitario Nazionale e si sono tagliati fondi o bloccate assunzioni con vane leggi (Finanziarie soprattutto) o decreti.
Ovvio quindi che otto milioni e mezzo di cittadini non abbiano nemmeno un Servizio di Psichiatria (per buono o meno che sia) (dati Censis) ed è altrettanto drammaticamente ovvio che alto sia il disagio e la sofferenza dei pazienti e dei famigliari in tali situazioni.
Quello che deve lei stupire che ci siano, nonostante questa situazione governativa, multi servizi territoriali UU.SS.SS.LL (soprattutto dell'Italia settentrionale, ma anche alcuni in Italia centrale e nel sud, encomiabili stante le note difficoltà), che hanno attuato risposte per la salute mentale, strutture intermedie, rete organizzativa, metodi e comportamenti professionali che non ricalcano più il manicomio, metodi oggettivanti che escludono, emarginano spesso con violenza.
Delegazione ufficiale di scienziati americani, europei, giapponesi, vengono a conoscere queste realtà quali riferimenti per il cambiamento. Ed è su questo punto: la questione del cambiamento, che vorrei soffermarmi, traendo stimolo da queste situazioni positive che conosco.
Per l'esistenza di questi servizi pubblici efficaci, la questione non può più essere quella della possibilità della Riforma Psichiatrica, ma di cosa, di chi la impedisce.
L'obiettivo del cambiamento in questione è riformare il metodo, l'organizzazione, la situazione di intervento, i comportamenti professionali, per dare risposte ai bisogni del sofferente mentale e dei suoi familiari nel loro rispetto e libertà.
Passare cioè della Psichiatria manicomiale alla salute mentale, dal manicomio al territorio.
Si ottiene il cambiamento se chi deve gestirlo va in direzione, attivamente, dell'obiettivo, in questo caso sancito da legge.
L'attivazione del ruolo tecnico e politico nelle rispettive responsabilità costituisce la condizione essenziale perché il cambiamento avvenga.
Se quindi il tecnico non crede in quell'obiettivo ed il politico si, o viceversa, o non ci crede nessuno dei due o vi è incapacità in uno di gestire la situazione, le risposte per la gente non si modificano e per chi soffre si aprono quei percorsi di sofferenza ben noti.
Il cambiamento, che era già difficile in partenza per le condizioni negative e le possibili resistenze legate ai molti fattori culturali ed economici, ora diventa impossibile.
Molte esperienze qualificanti del "privato sociale" sono indicatori anche di questo stato di cose, pur essendo espressioni caratterizzate da un precise , ruolo ed identità sociale in un processo di trasformazione (pensiamo alle cooperative di servizi, al volontariato, ecc.).
Sottolineo però il ruolo delle responsabilità del politico e delle responsabilità del tecnico perché quello che fanno diventa determinante per un progresso di servizi di interesse pubblico.
Devono viaggiare insieme: uno attivo e l'altro passivo determinano immobilismo.
Uno è necessario all'altro per poter procedere.
Per fortuna, quando c'è immobilismo chi ne fa le spese e paga (in tutti i sensi) si ribella, e lotta perché chi deve fare in una certa direzione lo faccia.
Dopo 10 anni di "180", alla Ussl di Pinerolo pare che il tempo non sia passato, pare necessario informare che la legge è già state emanate dal parlamento e che leggi regionali da anni sono presenti. Potrei fare come simpaticamente ha fatto l'amico Franco Rotelli nel Manifesto del 19 maggio come suo intervento: un "collage" di sue dichiarazioni di questi anni; per quanto mi riguarda, andando a recuperare i ritagli dell'Eco del Chisone dal 1978 ad oggi verrebbe fuori un bell'articolo emblematico dello stato di cose a Pinerolo.
Basta però leggere l'ultimo Eco del Chisone, l'articolo del Gruppo di studio ed impegno per la promozione della salute mentale o sentire gli operatori, per capire che le cose non vanno e non andranno bene.
Ritengo infatti che il cambiamento a Pinerolo non è possibile perché le condizioni per fare salute mentale non ci sono.
Vediamo i due ruoli condizionanti: il politico ed il tecnico.
Il politico, a dovere di verità (e non ho certo alcun desiderio di difenderlo), oggi ha cambiato posizioni, dando segnali di avvicinamento al cambiamento: ha assunto una deliberazione, che invece in precedenza aveva annullato, che garantisce i percorsi di trasformazione e di ottimale gestione della Psichiatria con le altre due Ussl che utilizzano l'S.P.D.C. ed ha altresì, sempre ad onor di cronaca, finalmente deliberate quegli ampliamenti della Pianta Organica del Servizio Psichiatrico che si aspettavano da anni.
Staremo a vedere, ma il segnate c'è, e chiaro.
Ed il ruolo tecnico? Sempre ad onore della verità, per l'interesse supremo dei diritti dei cittadini che pagano le tasse per loro servizi, ebbene, il ruolo tecnico non funziona (secondo la prospettiva del cambiamento - N.d.R.).
Dato però che la gestione di un Servizio è di compito e responsabilità del tecnico, del Primario Psichiatra nella fattispecie, è il ruolo politico che in questo caso si trova con le gambe tagliate.
In un percorso contano i fatti, i risultati ed i chiarimenti, i "distinguo" vanno fatti per rimuovere l'ostacolo al cambiamento. Non serve fare di ogni erba un fascio.
Dico che vi sono segnali molto preoccupanti nella gestione tecnica, perché è grave che in un Servizio, e a maggior ragione in quello per la Salute Mentale, gli specialisti debbano arrivare a chiedere per iscritto, senza risultato ad oggi, di potersi incontrare con il Primario per i chiarimenti ed i confronti necessari e dovuti alle gravi situazioni gestionali.
Trovo altresì grave, ad esempio, che un Primario non solo non promuove incontri in S.P.D.C. tra gli operatori interessati, ma li denuncia ai rispettivi Coordinatori Amministrativi per sanzioni.
È a dir poco stressante tale situazione e spiega perché operatori validi si siano dimessi dal Servizio. Spiega perché la genie protesta, anche se civilmente.
Se però il ruolo tecnico non cambia, che si fa? Si contano gli anni che mancano perché questo tecnico vada in pensione?
È vero che dovrebbero entrare in funzione i Responsabili dell'Ufficio di Direzione ed il Coordinatore Sanitario e dovrebbero scattare dei meccanismi di responsabilizzazione, facendo emergere i diritti della collettività ed i doveri del Servizio pubblico, ma tecnico è più inamovibile del politico.
A meno che non si dimetta.
Oggi come oggi sarebbe la strada più dignitosa per l'uno e meno faticosa e dolorosa per gli altri.
Giovanni Rissone
Comitato Direttivo di Psichiatria Democratica



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