GIOVANNIRISSONE
PSICHIATRA
MANAGER DELLA SANITÀ PUBBLICA E DELL'EMERGENZA
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Giovanni Rissone - Manager della sanità pubblica e dell'emergenza
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Giovanni Rissone - Una vita da matto vestito da dottore

Rassegna stampa su Giovanni Rissone

da La Stampa del 20-11-1981

Grave denuncia di un medico dopo il delitto di Collegno

Il manicomio che uccide

La follia, secondo lo psichiatra che ha avuto in cura l'omicida del proprio compagno di reparto, è meno pericolosa della "logica manicomiale" - "Spesso gravi atti di violenza sono provocati dall'abbandono e dall'emarginazione in cui certi malati sono costretti a vivere"

Clicca per scaricare l'articolo originale (formato pdf) Due morti all'ospedale psichiatrico di Collegno in poco più di quattro mesi: uno a luglio, suicida con il fuoco senza che nessuno se ne accorgesse, l'altro ammazzato lunedì da un compagno di reparto reduce dal manicomio criminale. Due episodi che denunciano errori e guasti causati dal sistema manicomiale e i limiti della riforma efficiente solo sulla carta. Dice un medico: "Non li ha uccisi la follia, ma l'emarginazione, l'abbandono e la violenza che hanno respirato per anni. In entrambi casi ha vinto la vecchia cultura che considera la malattia mentale un'etichetta infamante e il "pazzo" un soggetto irrecuperabile da rinchiudere come se fosse un criminale".
Cerchiamo di capire come Adriano Rossetto, 34 anni, originario di Bibiana, soggetto difficile con problemi affettivi gravi, è entrato nel meccanismo della "logica manicomiale". Spiega il dott. Giovanni Rissone, psichiatra dell'Usl 43 di Torre Pellice, cui l'uomo era stato affidato dopo le dimissioni dal manicomio criminale.
"Le porte di Collegno gliele ha aperte un'ordinanza del medico condotto del suo paese nel 1969, all'età di 21 anni, perché aveva cercato di usare violenza a una ragazza di Bibiana. Da quel momento si è messo in movimento il meccanismo della logica manicomiale che con il tempo lo ha psichiatrizzato e trasformato in oligofrenico, epilettico e infine caratteriale".
Nelle note caratteristiche Adriano Rossetto subisce varie classificazioni: "Nessuna avvalorata da serie diagnosi psichiatriche" dice il dott. Rissone: "Abbandonato dalla famiglia che rifiuta anche di ospitarlo nei pochi permessi concessi, l'uomo trova nel manicomio un riferimento della sua vita. Le contraddizioni dell'ambiente, la violenza, l'aggressività e la sessualità deviata, si assommano ai suoi problemi esistenziali e dopo alcuni anni è perfettamente inserito nel mondo della follia".
A Collegno rimane fino al '71, quando viene tradotto a Castiglione delle Stiviere perché il 9 giugno di quell'anno "aveva fatto proposte (anche, questa volta senza nessun tipo di violenza) ad una donna che aveva incontrato in piazza Massaua". Ritorna all'ospedale d'origine nel '73, ma due anni dopo è di nuovo nel manicomio criminale perché accusato di furto. Si legge tra l'altro nella relazione che l'accompagna: "Per essere in possesso di una "Vespa" in cattivo stato consegnatagli da un anonimo", "per avere messo in giro la voce di possedere un'auto che risulta sinora inesistente".
Dal manicomio criminale esce nel '77, ma ci ritorna un anno dopo, per la terza volta, perché a Ivrea era stato accoltellato da un amico anch'egli ricoverato in ospedale. Ancora lo psichiatra: "A Castiglione diventa un epilettico, ma nessuno si chiede se questo male poteva essere causato dalle massicce dosi di psicofarmaci a cui era stato sottoposto".
Adriano Rossetto è di nuovo a Collegno nel giugno di quest'anno in libertà vigilata. Continua lo psichiatra: "Abbiamo dovuto sistemarlo nella sezione 1a perché per lui non c'era posto da nessuna parte. Era deciso ad uscire dall'ingranaggio che lo aveva catturato e voleva lavorare. È stato un po' con la cooperativa degli ex internati, poi ha cercato un'occupazione più redditizia fuori perché voleva sposarsi con una donna che aveva conosciuto dentro l'ospedale. Avevamo un progetto, ma ci siamo sempre scontrati con la realtà. Per lui, fuori, non c'erano alloggi, comunità protette disposte ad ospitarlo, e per mesi è stato costretto a vivere in un reparto di handicappati gravi. Qui è riaffiorata la sua aggressività, la violenza che aveva respirato in 58 mesi di ospedale psichiatrico e in 70 mesi di manicomio criminale".
Adesso l'omicida è in una camera di sicurezza della Caserma dei carabinieri, nei prossimi giorni sarà interrogato dal giudice che deciderà sulla sua sorte.
Emanuele Monta

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