GIOVANNIRISSONE
PSICHIATRA
MANAGER DELLA SANITÀ PUBBLICA E DELL'EMERGENZA
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Giovanni Rissone - Manager della sanità pubblica e dell'emergenza
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Giovanni Rissone - Una vita da matto vestito da dottore

Rassegna stampa su Giovanni Rissone


da Voce Pinerolese del 27-01-2014

Chi ruba non sa gestire. Chi comanda ruba.

"Una vita da matto vestito da dottore" di Rissone

Clicca per scaricare l'articolo originale (formato pdf) La "sperimentazione" in Val Pellice

Giovanni Rissone, psichiatra basagliano, ex Direttore Generale di Asl, osserva al computer i dati clamorosi delle visualizzazioni dei TG inseriti nella rassegna stampa del suo sito (www.giovannirissone.it). Scorgo, mentre annusa il mio inseparabile zainetto, Lear, il suo cagnolino di ormai quindici anni, il cui abbaiare conclude il libro "Una vita da matto vestito da dottore. Uno psichiatra basagliano nella sanità dai '70 ai 2000" (Armando Editore, Roma, 2013).

Un commento sulla foto di Agostino Pirella e Franco Basaglia, che campeggia sulla copertina del tuo libro, sotto la quale scrivi "Miei maestri anche nell'osare la libertà. Usando la verità con onestà e responsabilità".

"Resto profondamente amico con Agostino Pirella. E' l'unica foto sulla sua scrivania a Torino e ritrae il prof. Agostino Pirella, di Basaglia. Pirella dal 1955, quando conobbe Basaglia, costruirono insieme (e poi si aggiunsero Nico Casagrande, Antonio Slavich) questo nuovo paradigma nei confronti dei matti (per me matto non è un insulto). Ci fu lo show dei manicomi ma il lavoro precedente è stato scientifico, filosofico, sociologico, per portare al "far salute mentale".

Nel tuo curriculum vitae, quando parli della legge di riforma psichiatrica (180/78) e della legge di riforma sanitaria (833/78) le reputi "leggi scarsamente attuate".

"Lo scenario degli anni settanta favoriva posizioni di cambiamento. Le due leggi non sono mai state applicate se non da chi ci ha creduto ed ha lottato con impegno pazzesco, con ostacoli gravissimi per i diritti della persona o sofferente mentale o malata. La 180 non l'avevamo voluta noi, non condividevamo il repartino. Fu approvata per evitare il referendum dei radicali. Questa legge a differenza della riforma sanitaria è legata a ricerche scientifiche, pratiche di cambiamento fatte da una base di uomini, psichiatri, infermieri, educatori, cittadini che avevano già realizzato questo paradigma scientifico. La 833 fu calata dall'alto, perché il deficit delle mutue era stratosferico, migliaia di miliardi degli anni Settanta. Sono pochi quelli che si interessano della vita e della dignità delle persone, quei pochi si ricevono batoste perché chiaramente non si può rubare, bisogna essere onesti, non si possono guadagnare come fanno le holding farmaceutiche con gli antidepressivi (trenta miliardi di dollari all'anno di fatturato)".

Mi ha colpito il sogno-ideale intravisto a nove anni nella stanzetta della casa di campagna a Caselette.

"Una mattina ragionai sull'assurdità che persone, esseri umani senza nessuna malattia stessero peggio di persone gravemente ammalate, fossero più infelici, più angosciate, terribilmente incapaci di esistere. Sedendomi sul bordo del letto, presi la decisione di voler capire l'uomo nella sua libertà e dignità e fare lo psichiatra".

" Agire in libertà per cercare e costruire servizi centrati sulla persona". Perché definisci la Val Pellice un'esperienza laboratorio (1978-1994)?

"Nel settembre 1978, misi piede in Val Pellice, per me terra completamente sconosciuta. Grazie a Donatella Citi inventammo quello che è stato il secondo servizio territoriale per la salute mentale in Italia. Nel 1981, accettai il posto di coordinatore sanitario. Lavorai a lungo con i medici di base, misi in piedi tutta un'organizzazione estremamente interessante per quello che poi definii nell'86 come"obiettivo far salute". Il territorio era piccolo, Gorizia di Basaglia era piccola, i muri confinavano con l'ex Jugoslavia, io avevo la Francia come confine, ventitre mila abitanti, pluriconfessionale, comunisti, democristiani. Era una ricchezza di diversità bellissima, laboratorio per sperimentare quello che poi continuai molto più facilmente nelle mie attività successive. Ti diventa automatico perché maturi queste esperienze affrontando anche difficoltà come il divieto dell'assessore regionale alla sanità a inaugurare il primo servizio di emergenza, nato non come mio sfizio ma perché era morto un ragazzo giovane".

"Un grande ospedale che da schifezza è diventato uno dei primi del mondo per la risposta dell'emergenza sanitaria", il San Giovanni Bosco (1996-2002). Come sei riuscito a far incontrare medici e infermieri, a concepire i dipartimenti come strumento d'integrazione di saperi diversi, insomma ad attuare il motto "liberi e lavorare in gruppo"?

"La scelta del metodo organizzativo l'ho fatta nei primi anni ottanta nella Val Pellice, ispirandomi alla teoria generale dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy. Il metodo della libertà come sistema organizzativo, noi esseri umani un sistema ce lo dobbiamo inventare, non siamo delle api né delle termiti che hanno un sistema sociale organizzativo genetico. Quali sono i due principali sistemi organizzativi? Uno è chiuso, l'altro è aperto. Quello chiuso rischia di bruciare le energie perché non ha scambi con gli altri, con l'esterno, è il potere assoluto. Ho usato un sistema aperto elastico. Senza negare la differenza di stipendio e di potere decisionale, non prendendo in giro nessuno, mi sono sempre considerato un essere umano con gli altri, dagli impiegati agli infermieri, alle assistenti domiciliari. Darsi del tu, non come atteggiamento demagogico, arricchirsi del massimo di partecipazione, di discussione, di confronto. Ho cambiato delle delibere nell'arco di dieci minuti, gli altri mi facevano notare che mi era sfuggito un particolare, è la ricchezza che assorbi da parte di tutti i saperi, di tutte le esperienze, tutti mi potevano telefonare al cellulare. Era normale, niente di rivoluzionario, l'essere con gli altri li rende partecipi".

"Interessi non legati alla salute delle persone da parte di chi vi è preposto", vuoi toglierti qualche sassolino dalla scarpa?

"E' semplice, chi ruba non sa gestire. Chi comanda ruba. Quindi chi è preposto a gestire la sanità è interessato a rubare. Quando fu approvata la riforma sanitaria nel 1978 a gestirla fu il ministro Altissimo liberale che aveva votato contro. Delle eccezioni ci sono state, Tina Anselmi, Donat Cattin, Rosy Bindi. Tina Anselmi aveva rifiutato quaranta miliardi delle holding farmaceutiche quando era ministro della sanità . Rosy Bindi ha avuto il coraggio di dire la verità, sui primari che non erano mai a Roma. Un esempio per me è stato Primo Levi in "I Sommersi e salvati". Nei lager nazisti non c'era una netta differenza tra le vittime e i carnefici, le squadre della morte erano fatte da ebrei. Nella connivenza, per le scorciatoie economiche, si costituisce un'area grigia trasversale per farsi dei soldi senza fare niente e rimanere impuniti. Fino a quando non scatta la magistratura, l'assessore regionale alla sanità fu arrestato. Al mio collega Odasso hanno dato cinquecento miliardi nel 1999 per chiudere trecento posti letto ed è stato arrestato".

Nel paradigma "Far salute", tutti dai cittadini agli operatori amministrativi e sanitari possono essere protagonisti ed attori, io compreso. Quale il tuo ruolo oggi?

"Oggi porto avanti questa esperienza, anche in giro per il mondo. Dopo aver visto quello che succede ai sofferenti mentali che si vantano delle diagnosi mentre una volta era uno stigma, ho deciso di aprire un'attività privata. Ho una base di una segretaria a Pinerolo però le visite le faccio domiciliari, voglio andare a casa perché solo vivendo il contesto, posso capire le dinamiche e intervenire. E' difficilissimo perché questa gente è abituata ad essere orgogliosa di essere malato mentale e i famigliari altrettanto perché non è più un problema loro. Scrivo e partecipo a una serie di impegni culturali, politici, scientifici. Non mollo!"

Piergiacomo Oderda

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