Rassegna stampa su Giovanni Rissone
da La Stampa del 13-02-2001
Eccezionale intervento di neurochirurgia al San Giovanni Bosco
Morte di ghiaccio per tornare a vivere
Donna colpita da aneurisma
Per salvarle la vita l'hanno uccisa e poi fatta risuscitare. Quattordici ore in sala operatoria,
quarantacinque minuti a cuore fermo. L'eccezionale intervento - una decina quelli compiuti finora al
mondo - è stato eseguito all'ospedale San Giovanni Bosco grazie a una tecnica messa a punto in
California. Una donna di 52 anni affetta da un aneurisma cerebrale troppo esteso per essere operato con le
normali tecniche di microchirurgia è stata trascinata in una "morte artificiale", il suo corpo
portato a una temperatura impossibile per la vita (18 gradi centigradi), cuore e polmoni sono stati
fermati, e tutto il sangue è stato estratto dall'organismo. "Perché dove non c'è
più sangue in circolo - spiega il dottor Riccardo Boccaletti, il neurochirurgo che ha eseguito
l'intervento insieme al cardiochirurgo Mauro Cassese - si può raggiungere più facilmente
il centro del cervello e vedere perfettamente che cosa si va a chiudere, senza che nulla ostacoli il campo
operatorio".
Un intervento ad altissimo rischio, con una possibilità di non farcela che sfiora l'80 per canto.
Praticamente un tentativo disperato, ma la donna non sarebbe sopravvissuta a un'altra crisi. Si è
tentato il tutto per tutto per cancellare dalla testa quella specie di "palloncino" naturale da tre
centimetri di diametro. "Aneurismi normali - spiega ancora il neurochirurgo - vengono chiusi in modo
rapido, pur essendoci sempre un certo rischio operatorio. Ma in questa situazione l'ipotermia profonda era
l'unica strada percorribile".
Aperto il cranio, isolata la carotide, l'aneurisma e i vasi circostanti, i chirurghi hanno prima deviato
la circolazione fuori dal corpo, hanno collegato la paziente alla macchina cuore-polmone, l'hanno
raffreddata fino alla temperatura di 18 gradi, quindi l'hanno portata oltre la vita per il tempo
necessario all'apertura dell'arteria malata e per l'applicazione di una speciale protesi destinata a
rimodellare la malformazione.
L'intervento è stato eseguito 26 giorni fa, ma soltanto ieri l'ospedale torinese ne ha dato
notizia, dopo che il primario del reparto di Rianimazione, Enrico Visetti, ha sciolto la prognosi. Il
ricorso all'ipotermia in sala operatoria è una tecnica che apre nuove speranze, frutto
dell'osservazione compiuta dai medici in montagna durante i soccorsi di persone travolte da valanghe: il
loro cuore semiassiderato e fermo è in grado di ricominciare a battere, "e noi - spiega il
cardiochirurgo Cassese - dopo aver "riparato" l'arteria abbiamo fatto ripartire la circolazione
extracorporea, poi riscaldato l'organismo, fino a rianimare anche il cuore".
L'impresa è iniziata alle 8 con l'anestesia controllata da un cardioanestesista e un
neuroanestesista. Due ore dopo, il neurochirurgo ha aperto la scatola cranica e ha raggiunto il punto
della malformazione. Soltanto a questo punto è stata collegata e azionata la macchina per la
circolazione extracorporea, ed è iniziata la fase più delicata e rischiosa: la paralisi del
cuore. Quarantacinque minuti, un quarto d'ora in meno rispetto al tempo massimo per non morire
davvero.
La donna ora è fuori pericolo, ma resta ricoverata in terapia intensiva, dove ha vissuto gli
ultimi trenta giorni di quella morte "controllata".
Torna all'elenco degli articoli