Rassegna stampa su Giovanni Rissone
da La Stampa del 06-09-1998
La Sanità che funziona/4. Al Giovanni Bosco una nuova tecnica ricostruttiva. Operati alla vescica, una vita migliore.
Sparisce l'incubo del sacchetto
Nasce al reparto di Urologia del Giovanni Bosco la Speranza di una vita migliore per uomini e donne operati di
tumore alla vescica o tetraplegici. Per un paziente su quattro, oggi, grazie a un intervento di altissima
chirurgia eseguito in Piemonte solo dall'equipe del dottor Giovanni Muto, l'handicap del sacchetto esterno resta
solo più un brutto ricordo. "Con una nuova tecnica operatoria - spiega Muto - siamo in grado di
utilizzare una parte di intestino per creare una sacca interna naturale. Il paziente potrà espletare le
proprie funzioni attraverso un cateterino collegato all'ombelico". È uno degli argomenti tabù
della medicina, questo dei tumori alla vescica. Un problema che crea imbarazzo sia a chi è operato, sia a
chi vive assieme a una persona operata alla vescica. "In un anno - è la casistica del dottor Muto - opero
delle 1300 alle 1500 persone di cancro alla vescica. Il 70 per cento sono tumori, circa 120 casi richiedono la
sostituzione della vescica, e 25 di questi possono essere risolti con il metodo della tasca interna".
L'intervento che si esegue al Giovanni Bosco è di alta specializzazione, effettuato in pochi altri centri
d'Italia. "I tumori alla vescica colpiscono in media persone tra i 60-70 anni - spiega ancora Muto, assieme ai
suoi due aiuti, i dottori Franco Bardari e Rossano Leggero -. Ma il blocco della funzione urinaria è
anche una delle conseguenze più invalidanti per chi ha subito un grave incidente, con trauma al midollo:
e in questo caso parliamo soprattutto di giovani, uomini e donne tra i 20 e i 30 anni". È da aprile che
al Giovanni Bosco viene utilizzata questa tecnica. Da quando il dottor Muto, 45 anni, laureato a Napoli,
trasferitosi prima a Trieste, poi alle Molinette di Torino, quindi al Maria Vittoria, ha accettato il primariato
all'ospedale di piazza Donatori di Sangue: "Sono stato molto chiaro, con la direzione generale - spiega -. Ho
chiesto di poter avere con me i miei due aiuti di sempre, ho chiesto di avere suor Carmela come caposala, e ho
chiesto una serie di apparecchiature indispensabili per questo genere di intervento e per la chirurgia mini
invasiva". Una trattativa durata un anno e mezzo, finché Giovanni Rissone, direttore generale, ha detto
sì a tutte le richieste dell'urologo. Trenta posti letto, stanze a uno, due e tre letti, nove medici,
quattordici infermieri: al centro di urologia del Giovanni Bosco dovrebbe arrivare presto anche un laser per la
microchirurgia non invasiva. E a ottobre si dovrebbe inaugurare anche un ambulatorio: "Puntiamo al ricovero
breve - spiega Muto -. Il paziente che deve essere sottoposto a un intervento, oggi, viene ricoverato almeno
cinque giorni prima per tutte le analisi. Con la nascita dell'ambulatorio le analisi pre-operatorie potranno
essere fatte qui, e il malato entrerà in ospedale la sera prima dell'operazione". Il sacchetto interno e
il cateterino ombelicale è una prospettiva di vita migliore non solo per gli uomini colpiti dal cancro
alla vescica (il secondo come numero di tumori maschili in Italia, dopo quello alla prostata), ma anche per le
giovani donne vittime di un tumore all'utero che si è esteso. Dice il dottor Muto: "Soprattutto per un
giovane, uomo o donna che sia, l'idea di dover vivere con un sacchetto esterno è un handicap
insopportabile. Qui al Giovanni Bosco non solo evitiamo quand'è possibile questa sofferenza, ma siamo in
grado di preservare anche i nervi erettori, in modo che l'asportazione della vescica non comprometta anche
l'attività sessuale di un uomo".
Marco Accossato
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