GIOVANNIRISSONE
PSICHIATRA
MANAGER DELLA SANITÀ PUBBLICA E DELL'EMERGENZA
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Giovanni Rissone - Manager della sanità pubblica e dell'emergenza
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Giovanni Rissone - Una vita da matto vestito da dottore

Rassegna stampa su Giovanni Rissone

da Eco delle Valli Valdesi del 19-12-1986

Al convegno nazionale "obiettivo far salute" di Torre Pellice

La salute al servizio del senso della vita

L'essere umano va considerato non come entità astratta, ma nella complessità della sua realtà esistenziale - In assenza di solidarietà e responsabilità umana possono fallire anche i più corretti e moderni processi terapeutici

Clicca per scaricare l'articolo originale (formato pdf) Nel corso del convegno nazionale: Obiettivo far salute, svoltosi a Torre Pellice dall'11 al 13 dicembre per l'organizzazione della Comunità Montana Valpellice - USSL 43, il presidente della CIOV, past. Alberto Taccia, ha presentato una relazione su Comunità cristiane e problemi della salute che qui, in parte, riportiamo.
L'attenzione che le Chiese in generale e le Chiese Evangeliche in particolare rivolgono oggi al problema della salute, non deriva da una volontà di recuperare quello che nel passato era senza dubbio uno dei campi specifici del loro intervento né dalla pretesa di intervenire e interferire in quelle che sono le competenze specifiche degli organismi e delle istituzioni preposte alla soluzione di detto problema. L'interesse della comunità dei credenti nasce dal fatto che la salute è una delle componenti fondamentali dell'esistenza umana. E l'esistenza umana nel suo complesso riguarda strettamente il messaggio evangelico e quindi la ricerca e la testimonianza della Chiesa.
Il centro dell'attenzione è dunque l'essere umano considerato non come entità astratta come mero oggetto di studio, di ricerca o di assistenza, ma nella sua realtà esistenziale, con i suoi problemi, le sue difficoltà, le sue sofferenze, le sue gioie, le sue esigenze, il suo diritto alla vita, al lavoro, alla socialità, alla libertà, e a una esistenza umana degna di questo nome.
E tra tutti i diritti dell'uomo, primario e importante è il diritto alla salute, alla sua tutela, alla sua conservazione e al suo recupero.

Per una definizione di "salute"

Ma cosa è salute? Se ne hanno ormai diverse definizioni. L'antica definizione per cui salute è essenzialmente assenza di malattia è ora superata e si cercano nuove formulazioni sempre più ampie, come quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per cui: "Salute è una condizione di completo benessere fisico, spirituale e sociale". L'idea di salute è così generalmente associata alla condizione di giovinezza, bellezza, forza, capacità di produrre, di godere, di lavorare, di muoversi: è chiaro che tale concetto di salute discrimina, esclude, considera automaticamente malato chi non è in grado di adeguarsi a tali canoni.
Si tratta degli anziani, degli invalidi, dei portatori di handicap più o meno gravi che la nostra società tende ad emarginare e ad escludere per tutta una serie di condizionamenti psicologici e sociali.
Ma una società che, per tutelare la propria salute, si libera degli improduttivi, degli handicappati e dei disabili è in realtà una società profondamente malata.
Malata di egoismo, di paura, di insicurezza, bisognosa di essere salvata e guarita dai propri condizionamenti psicologici e ideologici negativi.
Nella nostra società la salute fisica sembra essere il più alto degli obiettivi. Per la nostra salute si impegnano enormi energie, ingentissimi capitali, strutture sempre più sofisticate. Il divario tra paesi poveri e paesi ricchi è enorme proprio a livello di tutela della salute. A volte la salute e il benessere degli uni sono cause di immense sofferenze di altri.
Un teologo protestante tedesco in un recente scritto tradotto in Italiano (J. Moltmann - Diaconia - Ed. Claudiana) scrive: "Non è la sola vita o la sopravvivenza che costituiscono il senso dell'esistenza umana, ma piuttosto è la vita biologica che deve essere posta al servizio dell'umanità. Non sono la salute e la funzionalità fisica che costituiscono senso dell'esistenza umana ma la salute e la funzionalità fisica sono poste al servizio del senso della vita". Questo senso che è riempire la vita di umanità, di accettazione, di dedizione, di interesse, di partecipazione e amore, può essere vissuto anche nell'handicap, nella malattia e nella morte. E allora si tenta una nuova definizione di salute.
"Salute è la forza di essere uomini nella felicità e nel dolore, nella vita e nella morte. Salute è la forza di vivere, di soffrire, di morire come soggetto libero e responsabile. Salute non è costruire una società al servizio del proprio benessere psico-fisico ma porre se stessi al servizio dell'edificazione di una società in cui nessuno si senta escluso ma ognuno sia rispettato nella propria dignità, e libertà, qualunque sia la sua condizione di esistenza".

Sofferenza e solidarietà cristiana

La comunità cristiana potrà contribuire ad un tale processo di edificazione riferendo il proprio pensiero e la propria azione all'opera di Cristo che è fondamento della sua esistenza, della sua testimonianza e della sua azione. Questa azione rivela due atteggiamenti complementari.
Il primo, di completa solidarietà con la sofferenza umana. Cristo "ha preso su di se le nostre malattie e le nostre infermità" (Isaia 53: 4), si è identificato con i sofferenti, con i malati, con i miserabili della terra. "Accento a Gesù troviamo tutta la miseria dell'uomo: gli indemoniati, gli storpi, i paralitici, i ciechi, gli affamati, i colpevoli escono allo scoperto dagli angoli bui della società, nei quali erano stati banditi, nei quali si erano nascosti per paura e vergogna"(Moltmann). Gesù opera una netta scelta, ponendosi chiaramente contro il potere di quelli che godono buona salute a spese degli altri, che nella pienezza del loro benessere psicofisico tutelano i loro privilegi con ogni mezzo, impedendo ogni processo di crescita e integrazione da parte di altri. Quella scelta ha come conclusione la croce.
E il secondo atteggiamento è la volontà di superamento e di vittoria su ogni condizione negative di sofferenza e di morte. La solidarietà con la sofferenza non conduce a una passiva rassegnazione, all'accettazione supina di una oscura e ineluttabile volontà superiore che destina ciecamente alcuni alla sofferenza ed altri al benessere. Non vi è neppure il tentativo di sublimare la sofferenza come mezzo di salvezza o acquisizione di felicità future negate nel presente. Gesù è venuto per salvare gli uomini, nel senso più pieno della parola: la guarigione e l'esistenza serena fanno anche parte di questa salvezza.
Questo atteggiamento troverà nella resurrezione la sua espressione più alta di vittoria sulle forze oscure della morte.
Da questo messaggio di morte e resurrezione, solidarietà e salvezza rivolto all'uomo globale, possono emergere, relativamente al tema che ci interessa, due elementi.

Responsabilità individuale e collettiva

a) L'affermazione della responsabilità individuale, come recupero della piena coscienza di sé, della propria umanità e della propria dignità, cioè del valore primario della persona umane.
Lo sviluppo e l'evoluzione del processo sanitario e sociale tendono sempre più, per la loro complessità e la loro specializzazione, a richiedere al cosiddetto "utente" una specie di delega in bianco.
Private della capacità di autodeterminazione, l'uomo tende a vivere in una costante situazione di ansia e in una conseguente totale dipendenza dall'istituzione sanitaria di cui diventa oggetto di studio, a volte di sperimentazione, di assistenza, in un rapporto sempre più spersonalizzato.
Egli deve essere invece, con la collaborazione degli operatori, soggetto e partecipe nel processo terapeutico o di recupero sociale. A lui è dovuta una corretta informazione, una possibilità di discutere e scegliere, nel dialogo con l'operatore, la terapia o la soluzione più appropriata.
Ma alla base di ogni informazione è necessario premettere un'azione di formazione alla libertà e alla responsabilità che deve iniziare fin dai primi anni dell'esistenza.
b) Ad una responsabilità individuale deve fare riscontro una responsabilità collettiva, cioè il recupero di una nuova solidarietà umana.
Sappiamo che uno dei problemi più gravi del nostro tempo è la solitudine. La solitudine aggrava enormemente, al limite della tragedia, qualsiasi situazione di malattia, di sofferenza, di anzianità, di handicap, di invalidità, di ristrettezza economica. La solitudine, spesso frutto di quella emarginazione sociale a cui facevamo cenno, è il segno più grave di una disgregazione sociale che fa di ogni uomo l'antagonista, il potenziale nemico, colui che può minacciare il mio benessere psico-fisico, attentare alla mia tranquillità e alla quiete mia e della mia famiglia.
Il riferimento costante alle istituzioni socio-sanitarie che ognuno di noi contribuisce a mantenere con non indifferenti sacrifici finanziari e che avrebbero il compito di risolvere tutti i problemi di salute, di disoccupazione, di età, di crisi di qualsiasi genere, ci esime da ogni responsabilità verso il prossimo, da ogni senso di solidarietà e di umanità.
Della mancanza di solidarietà e responsabilità umana nascono la maggior parte di quelle situazioni patologiche psichiche, fisiche, di devianza comportamentale, che costituiscono l'utenza degli ospedali, degli istituti di ogni tipo, delle strutture sociali, delle carceri.
Ed è per la mancanza di solidarietà e di responsabilità umana che falliscono spesso processi terapeutici, riabilitativi, di reinserimento sociale pur impostati secondo le più corrette procedure.
In una recente Conferenza che ha avuto luogo nel settembre di quest'anno a Budapest, organizzata della Commissione Medica Cristiana del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra, sul tema: "Guarigione, salute e integrità umana" è stata riproposta, nella prospettiva di sfacelo fisico e morale a cui l'umanità sembra condannata e che riguarda la condizione dell'uomo, dalla morte per fame nei paesi poveri alla morte per inquinamento nei paesi ricchi, alla minaccia di una deflagrazione atomica per tutti, la ricostituzione di una nuova coscienza sociale, non basata sul "mors tua, vita mea" ma sul principio che la tua morte sarà la mia morte e la tua vita la mia vita. Dove la fraternità, la riconciliazione e l'amore non siano solo vaghe e poetiche utopie ma condizione d'esistenza.
Si è proposto di costituire "comunità terapeutiche" in senso lato, aggregazioni umane che non si sostituiscono a nessun programma socio-sanitario, che non escludono nessuna competenza specifica, che non intendono affatto confondere i ruoli, ma intendono creare quel tessuto umano ore quasi del tutto disgregato, di solidarietà, di aiuto, di accoglienza, di comprensione delle necessità, di ognuno, affinché nessuno si senta solo, nessuno si senta escluso.

Un obiettivo per tutti

Si tratta, con un deciso cambiamento di tendenza, di identificare il senso della vita non nel successo individuate determinato della capacità di produrre, di possedere, di consumare che condiziona la nostra concezione di salute, ma della capacità di costruire una diversa società e un diverso rapporto umano che sia capace di accogliere, includere, integrare, dare spazio e dignità di vita a tutti.
Questo obiettivo non può essere esclusivo di una Chiesa o di un organismo specifico ma deve diventare obiettivo comune a tutti, ognuno con le sue particolarità, le sue competenze, i suoi livelli di responsabilità.
Non sempre le Chiese hanno operato in modo coerente ai principi su esposti. La carità di Cristo che accoglie, salva e riabilita, si è presto trasformata, nella prassi ecclesiastica, in quella beneficenza e assistenza il cui scopo non era tanto il ricupero della dignità dei deboli e dei poveri contro il potere del forti e dei ricchi ma la difesa della società dei sani dai soggetti parassitari. Non sono certo mancati atti di autentica testimonianza, di dedizione e consacrazione da parte di tanti uomini e donne, organismi, congregazioni e comunità che hanno lottato e impegnato la vita per il bene dei deboli. Ma spesso la Chiesa è stata complice o strumento inconscio di una politica di repressione e segregazione, funzionale ad una ideologia del benessere che si serve dello spirito cristiano di alcuni per scaricare responsabilità di tutti e isolare in ambiti, sia pur pieni di carità cristiana, coloro che possono costituire un peso o un impaccio a un libero progresso economico che premia soltanto l'efficienza e la capacità produttiva.
È compito della Chiesa operare un'analisi critica della propria prassi assistenziale e, nel contempo, porsi liberamente al servizio di un progetto comune di "far salute" nel senso ampio che abbiamo delineato, senza alcuna pretesa di superiorità o di difesa di prerogative e privilegi.
Alberto Taccia

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