GIOVANNIRISSONE
PSICHIATRA
MANAGER DELLA SANITÀ PUBBLICA E DELL'EMERGENZA
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Giovanni Rissone - Manager della sanità pubblica e dell'emergenza
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Giovanni Rissone - Una vita da matto vestito da dottore

Rassegna stampa su Giovanni Rissone

da L'Eco del Chisone del 05-11-1982

La nostra salute

C'è chi vuole di nuovo i manicomi

Clicca per scaricare l'articolo originale (formato pdf) Con vivo interesse abbiamo letto sull'Eco del Chisone del 28 ottobre 1982 un articolo contro la Legge 180 che molti, comprese le autrici del suddetto articolo, si ostinano ancora a considerare una Legge a se stante e non, come di fatto è, una parte integrante della Legge di Riforma Sanitaria n. 833, uscita in anticipo, sul testo complessivo, sotto forma di stralcio per le note (almeno così credevamo) vicende legate al Referendum promosso dal Partito Radicale che chiedeva la chiusura "ex abrupto" dei manicomi; questa precisazione ci permette di smentire la prima delle gravi inesattezze in cui sono incautamente incorse le due autrici: la Legge stralcio n. 180 è stata elaborata da una Commissione formata da rappresentanti di tutte le principali forze politiche italiane con l'apporto tecnico di diversi psichiatri, alcuni dei quali non certo "sospettabili" del "reato" di antipsichiatria.
A proposito di quest'ultima l'articolo riporta una citazione presa da un testo del prof. Giovanni Jervis, di cui peraltro le autrici dimostrano di ignorare o di non aver affatto compreso il pensiero, che dovrebbe dimostrare, secondo loro, come lo stesso Jervis, Basaglia e quanti come noi del resto si riconoscono attualmente nelle posizioni di Psichiatria Democratica abbiano voluto negare la malattia mentale.
Ancora una volta ci tocca smentire (vedi tra l'altro Basaglia "Scritti" vol. II, p. 334) facendo loro notare che riportare il disturbo psichico nel suo contesto sociale (famiglia, scuola, lavoro, ecc.) non significa affatto negare l'esistenza della malattia mentale, ma semmai vuol dire criticare a fondo i due modelli dominanti: quello biologico, fondato sulla osservazione e descrizione di sintomi presentati da individui segregati nell'istituzioni manicomiali e allontanati quindi dal loro ambiente di vita e da qualsiasi rapporto significativo, le risposte che questo modello fornisce sono esclusivamente farmacologiche o peggio ancora basate su trattamenti estremamente più violenti (terapie di shock, contenzione chimica fisica, medicalizzazione dei problemi della vita ecc.) il cui valore scientifico, per citare l'espressione usata da un noto ricercatore del C.N.R. Giorgio Bignani, è lo stesso del pugno dato al televisore che funziona male.
Il secondo modello dominante è quello psicologico che esaurisce nel solo ambito dell'analisi delle dinamiche profonde del singolo o, quando va bene, dei rapporti interpersonali, il suo campo di ricerca estraendo dai determinanti sociali del disagio e rifiutando peraltro la gestione delle situazioni di crisi.
A questo punto data la scarsezza dello spazio disponibile dobbiamo necessariamente limitarci a rimandare le due Dott.sse in questione ed altri eventualmente interessati, alla ricca letteratura esistente in materia, nonché alle varie esperienze in atto, in grado di fornire elementi di conoscenza su un modello realmente globale di approccio all'individuo sofferente, che ne prenda in considerazione anche l'aspetto biologico e psicodinamico, ma che non incorra nella gravissima omissione di dimenticare il contesto in cui la sofferenza nasce, si sviluppa e si manifesta.
E in tale modello di interpretazione che noi ci riconosciamo essendo esso runico che permette una globalità, indispensabile anche nella risposta da offrire a chi soffre, che secondo l'articolo citato dovrebbe invece limitarsi a lenire il sintomo.
In questo sta il senso dello spostamento sul territorio degli operatori impegnati a lavorare per la salute anche e non solo psichica dei cittadini, superando le istituzioni segreganti e tra queste anche le case di cure neuropsichiatriche private, e a questo proposito ci permettiamo di far notare come non faccia stupire che da parte di persone che hanno scelto di lavorare in istituzioni private, che sulla sofferenza della gente hanno sempre speculato, si cerchi di buttare fango su quello che tra mille difficoltà (assenza di strutture, tagli finanziari sulla sanità, carenza di personale, ambiguità dei progetti di formazione degli operatori ecc.) in molte situazioni in Piemonte e altrove in Italia si cerca di fare perché avvenga un cambiamento reale nella qualità della vita delle persone e quindi della loro salute.
La proposta che con ineffabile mancanza di pudore ci sembra emerga dall'articolo e il raddoppio delle rette nelle cliniche private ed il convenzionamento del 100% dei posti letto, il che praticamente equivarrebbe a regalare un'altra enorme fetta del bilancio sanitario al settore privato che nelle sue varie espressioni già ne incamera attualmente il 50%, per averne in cambio dei "benefici" per rimediare ai quali quotidianamente il nostro servizio, come altri, deve impegnare buona parte delle sue energie.
Ribadendo la più ampia disponibilità, a confrontarci seriamente punto per punto sul modello da noi scelto e sulla sua applicazione concreta, che è anche una continua revisione critica di quanto già fatto, che ci permettiamo di opporre alle ambigue certezze delle due autrici, vogliamo per il momento concludere con questa considerazione: la Legge di Riforma Sanitaria e quindi anche la 180 non sono state emanate per risolvere i problemi della scienza medica o psichiatrica, ma i problemi della salute delle persone, questo sarà certamente meno difficile se si avrà il coraggio di mettere in crisi i vecchi modelli medici che non sono purtroppo nati per lo stesso scopo, cercando realmente una nuova professionalità dell'operatore sanitario.
Care "Colleghe", sarebbe ora di andare almeno un po' oltre Kraeplin (1800) e di rispettare chi ha scelto le difficoltà di operare a tempo pieno nel Servizio Pubblico per stare della parte della gente, rinunciando tra l'altro alle gratificazioni economiche che il privato offre.
Dott. Emanuele Fontana
Dott. Giovanni Rissone


"Questo non significa - e lo ripetiamo - che non esiste la malattia mentale e non esiste la devianza: cioè che non esiste il diverso come fenomeno umano e che la trasformazione dell'assetto sociale sia sufficiente a cancellarlo. Il problema sta proprio nell'incorporazione di questo concetto: la necessità di cancellare il diverso come se la vita non lo contenesse e quindi la necessità di eliminare tutto ciò che può incrinare la falsa contraddittorietà di questa facciata tersa e pulita, dove tutto andrebbe bene se non ci fossero le pecore nere".

Franco Basaglia, Scritti 1968-1980 a cura di Franca Ongaro Basaglia p. 334.


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